lunedì 23 marzo 2020

La verità e la nostra libertà sono nascosti nello stesso luogo


Oggi è una bella giornata di primavera. Amo la primavera, mi ricorda che tra poco sarà estate. In estate vivo di più perché c’è più sole, fino a 16 ore di luce al giorno e la luce è energia, è voglia di fare ciò che veramente mi fa stare bene, dimenticando lo stress del fare carriera, di diventare qualcuno: in estate vivo al ritmo della natura.

Sì, posso sacrificare la mia primavera. Siamo in emergenza, bisogna stare uniti, bisogna stare a casa, tutti dobbiamo fare dei sacrifici per poi tornare alla normalità. Sì, posso sacrificare la mia primavera, anche se mi perderò le ultime sciate, lo scioglimento della neve in montagna, le birre al Vale con gli amici, la festa del mio 27esimo compleanno e tanti altri progetti che ora ho messo in pausa.

Ma posso sacrificare la mia estate? E poi anche l’autunno ed il prossimo inverno? No, penso proprio di no.

Mi ripeto che bisogna stare in casa, fare questo sacrificio, perché se ci dicono di farlo un motivo ci sarà, perché i nostri genitori sono in una fascia di età in cui il virus potrebbe portare a complicazioni, perché altrimenti i nostri vecchi non potranno più raccontarci di come era essere partigiani sulle alpi. Me lo ripeto, ma non so a cosa credere. Il modo in cui le informazioni mi raggiungono mi manda in crisi. Cerco informazioni affidabili, ma gli amici contagiati mi dicono cose totalmente contrastanti con i drammi di cui leggo sui giornali. Mi chiedo dove sia la verità, se ci sia. Perché stiamo chiusi in casa, perché dobbiamo starci? Com’è possibile che in così poco tempo un paese - e tra poco un continente - rinuncia alla sua libertà? In nome di cosa, della paura? E di cosa abbiamo paura? Di morire, non credo, di collassare? Forse. Mi sembra che in questo momento la verità su questa faccenda e la nostra libertà siano nascosti nello stesso luogo, magari in Cina.

In questi giorni continuo a pensare ad un discorso

Mentre il mondo consuma circa 100 milioni di barili di petrolio al giorno, non ci sono politiche per cambiare questa situazione. Non ci sono politiche per tenere quel petrolio nel terreno. Quindi non possiamo più salvare il mondo giocando secondo le regole, perché le regole vanno cambiate. La nostra civiltà viene sacrificata per l’opportunità di un numero molto ridotto di persone di continuare ad accumulare enormi somme di denaro. La nostra biosfera viene sacrificata in modo che i ricchi di paesi come il mio possano vivere nel lusso. Sono le sofferenze dei molti che pagano i lussi dei pochi.
Voi dite di amare i vostri figli sopra ogni cosa, ma state rubando loro il futuro davanti agli occhi.
Finché non vi fermerete a focalizzare cosa deve essere fatto anziché su cosa sia politicamente meglio fare, non c’è alcuna speranza. Non possiamo risolvere una crisi senza trattarla come tale. Voi non avete più scuse e noi abbiamo poco tempo. Noi siamo qui per farvi sapere che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no”.

Ripenso a queste parole e le immagino pronunciate da una cosa ancora più piccola di una ragazzina svedese di 15 anni, immagini che sia un virus a dirle, un virus che ci mette davanti la morte come nemica, un virus che sceglie di uccidere una fetta di popolazione che quando aveva 30 anni non ha pensato ai miei 30 anni su questo pianeta terra, un virus che ferma gli aeroplani e le fabbriche e fa tornare i delfini vicino ai porti, un virus che ci fa render conto di quanto siano vuote le nostre vite senza il confronto con l’altro e con la natura.

E io, a 26 anni, penso che sia giusto fare fronte a quest’emergenza come stiamo facendo, ma per quanto tempo continuerò a pensarla così?

Ogni giorno passato in clausura perdo la possibilità di innamorarmi, di ridere con i miei amici, di vedere uno spettacolo a teatro, di andare a trovare il figlio della mia amica che sta crescendo, di andare in montagna e vedere i caprioli, di buttarmi in mare, di entrare in un museo, di fare una nuova produzione teatrale, di studiare con un maestro. E per cosa? Per permettere agli stessi 80enni che hanno tentato di distruggere il mio futuro di non morire.

Si, è vero ci sono anche 20enni che muoiono per il virus, ma sono le eccezioni che confermano la regola, l’età media dei 6077 morti di coronavirus ad oggi in Italia è 80 anni. Facciamo di tutto per salvare questi 80enni, ci chiudiamo in casa, rinunciamo ai baci, agli abbracci, al diritto all’istruzione. Ma per il nostro futuro?

Questo è un momento importante, uno di questi momenti che può precedere una rivoluzione ed abbiamo la fortuna di avere del tempo per farci le domande giuste.
Se tutto questo in un paio di mesi finirà, avremo la possibilità di mantenere pulite le acque dei nostri mari ed i cieli tersi nelle nostre città, ma saremo pronti a prenderci questa responsabilità o dopo avere scampato la morte vorremo vivere senza rinunciare a niente?
Se tutto questo dovesse continuare, se ci venisse chiesto di rimanere ancora in casa per mesi e mesi, fino a cambiare la nostra idea di libertà, saremo pronti a ribellarci? Noi, come generazione, dobbiamo essere pronti al sacrificio, a metterci dalla parte del virus e impiegare sforzi economici ed umani a combattere ciò che il virus è venuto a combattere: la distruzione di questo pianeta.

La natura ci sta ricordando quanto sia forte e quanto noi, umani, siamo deboli. Ci sta dicendo che se continuiamo a ferirla, a sfruttarla, a depravarla, lei ci può uccidere come e quando vuole per mantenere un equilibrio sufficiente a evitare la catastrofe.

Per ora stiamo uniti, stiamo a casa, sacrifichiamo il nostro tempo, ma che questo sacrificio temporaneo non diventi la rinuncia alla nostra libertà, alla nostra responsabilità di generazione di mettere il nostro futuro davanti a tutto.
Giurateci, prometteteci che se noi vi proteggeremo da questo, le cose cambieranno.
Giurateci, prometteteci che appena tutto questo sarà passato gli stessi fondi straordinari saranno dati alla salvaguardia di questo pianeta e del mio, del nostro futuro.
Giuriamoci, promettiamoci che non faremo un’altra volta questo grande sbaglio di sottovalutare madre natura.

Io, al momento, mi sento una bomba pronta ad esplodere, e se sarà necessario lo farò con un atto semplice, ma oggi rivoluzionario. Non aspetterò molto prima di iniziare di nuovo a camminare per strada, non aspetterò molto il nostro futuro.

mercoledì 15 agosto 2018

Pesca

L’estate del 2018 è iniziata con il vacillare del tuo amore per me. 

Da metà maggio a metà giugno ha piovuto tutti i giorni dalle 16 in poi. A volte grandinava. Il rumore della pioggia era così forte che in teatro non ci sentivamo parlare e a forza di dimenarci per farci capire finivamo la prova fradici di sudore come se fossimo stati fuori senza ombrello come tutti gli altri speranzosi per strada che a giugno si rifiutano di guardare il meteo prima di uscire. Unica differenza la puzza di sudore. 

Io dimenticavo sempre la finestra aperta a casa e quasi tutti giorni un chicco di grandine si scioglieva vicino alla presa di corrente con il phon attaccato. Ma non ci badavo, anzi il giorno dopo dimenticavo anche il fornello del gas acceso e allora il gatto si bruciava tutto il pelo. Per fortuna avendo lasciato la finestra aperta l'acqua che entrava spegneva il gatto e al mio rientro sentivo solo un po' di puzza di bruciato e allora accendevo, dal gas rimasto acceso, una candela profumata alla mela e respiravo così forte che non avevo più fame e mi dimenticavo di mangiare e qualche ora dopo mi venivano i crampi allo stomaco e la mattina mi svegliavo con i crampi allo stomaco ed era colpa dei crampi allo stomaco se pioveva e io dimenticavo il gas e le finestre aperte e il gatto perdeva sempre più pelo e io consumavo sempre più candele alla mela e le mele vere marcivano. 


A volte i temporali facevano sbattere forte le imposte e io mi svegliavo. Allora andavo ad aprire la porta d’ingresso, ma non entrava che altra grandine. Tornavo a letto e di nuovo sentivo bussare e allora la porta la lasciavo aperta per non dovermi sempre alzare. E tra la porta aperta e i lampi del temporale si creavano strani riflessi e allora io urlavo di spegnere la luce, o di toglierti le scarpe marroni o ancora “chiudi la porta che hai le chiavi”. E quando entravo in casa dalla porta che era sempre aperta trovavo il letto occupato, ma poi era il gatto che senza più pelo era bianco come la carnagione del tuo amore per me che è iniziato a vacillare con l'arrivo dell'estate del 2018. 


Poi un giorno il gatto è morto, i temporali sono finiti, la casa è bruciata ed il tuo amore per me è svanito con la stessa leggerezza con cui era comparso.

venerdì 5 maggio 2017

nuvole bucate

Come sono belli i disegni che hai sul braccio.
Nuvole bucate,
Campi appena seminati.
Dolci colline strette, morbide
Materassi in lattice per grilli,
Cerchi nel grano.

Chi te li ha fatti?
Un bambino senza colori?
Un ragazzo senza fogli bianchi?
Un giovane con troppe parole?

Se da bambini avessimo giocato insieme
Ti avrei prestato i colori
Ti avrei detto di andare piano

Se da ragazzi fossimo stati vicini di banco
Ti avrei prestato i miei fogli ad anelli
Ti avrei detto che ne avevo troppi

Se da giovani ci fossimo innamorati
Ti avrei prestato il mio tempo
Ti avrei detto che non potevo spenderlo meglio

Avrei guardato la mano tracciare, imprimere, calcare.

Godendone.

mercoledì 30 settembre 2015

L’amore non è cieco nelle fotografie.

Vorrei poter dire di aver trovato in un cassetto dal legno incollato una fotografia da bordi scuciti, di aver esitato a lungo prima di prenderla tra le mani per paura di portare via parte del suo inchiostro monocromo. Vorrei poterlo dire perché ancora non trovo nei pixel la carica poetica di una pagina sgualcita.

Ricordo i momenti precisi in cui ho scattato le mie fotografie meglio riuscite. Ricordo il mio sguardo che attraversa l’occhio meccanico. Allo stesso modo non posso fare a meno di immaginare la sensazione di chi ha scattato le fotografie che non sto tenendo in mano, ma macchiano lo schermo del mio portatile.

Un cappotto leggero ed una sciarpa di cotone. Il vento è gentile, lascia danzare la pioggerellina senza rovinare nessuna festa. Deve essere Marzo. Sorride, finge imbarazzo. La luce è diffusa, l’immagine un po’ troppo chiara, le ombre non esistono. Grida quest’immagine la primavera di un’amore che non conoscerà mai la maturità. Dipinge i baci donati ad ogni angolo della strada, recita le luci lasciate accese nelle notti d’amore, canta i lunghi sguardi tre i vetri graffiati dei pullman e accarezza le lacrime cadute sulle cornette di due telefoni lontani.

Uomo senza tempo, amico degli elfi, ma quelli saggi ed anziani. Porta in sé la curiosità di un ragazzino e la stanchezza di un vecchio. Dice di non essere mai tra le nuvole, ma perché tra una nuvola e l’altra ha costruito un posto sicuro e capita che lo cerchi con gli occhi mentre cammina. Fa domande per ricostruire storie, per decidere se sorridere. Sorride solo se è felice. Ascolta, ma non sa guardare. Si sforza di farlo ed i suoi occhi diventano fini come quelli di un vecchio amore orientale. 

“Hai presente il discorso di Steve Jobs?” Quello dei puntini risposi e lui si meravigliò che ne fossi a conoscenza nonostante sia tra i video con più alto indice di sharing “Mi immagino gli altri 100mila che stanno ancora cercando di unire quei maledetti puntini” sicuramente si allenano facendo la settimana enigmistica, pensai a bassa voce. Lui lo fa con le domande. “Perché ti piace fotografare?” partendo da questa domanda e modificandola dopo ogni mia insoddisfacente risposta ha risolto l'enigma: mi piace la fotografia perché mi permette di creare legami tra le persone. All'inizio pensavo che volesse solamente mettermi in difficoltà e a volte lo credo ancora.  Io alla prima domanda risposi “è un hobby”


Ci conoscevamo da circa un anno e mezzo e per la prima volta ballò davanti a me, come se fosse normale. Non credo che abbia mai realizzato quando fu emozionante per me quel momento. Volevo saltargli addosso. Ma invece decisi di creare un legame e gli scattai due fotografie.

Una mattina ha detto di avermi sognata. Ero un croissant al cioccolato. Era stato facile mangiare le parti più semplici, immagino si riferisse alle punte, ma non era riuscito ad arrivare alla confettura. Ha insistito sulla potenza di questa metafora chiedendomi se ne avessi compreso il senso. Io gli risposi che i sensi potevano essere molteplici, ma avrei dovuto rispondere che i croissant non mi piacciono.

sabato 30 agosto 2014

Merda gialla

"Lo mangi?" 
Le sue mani erano già tutte appiccicose
"Ti ho chiesto, lo mangi? Intendo con la bocca, la lingua e tutto il resto. Non credo che i pori della tua mano siano dotati di apparato digerente e riescano a risucchiare quel gelato sciolto."
Emma cercava di essere simpatica. Cercava sempre di farlo, ma era sempre attenta a non esserlo in modo banale, come tutti gli altri.
"Vorrei sentirti fare una volta una battuta normale, senza che tu devi per forza inserirci un qualche termine scientifico come "pori" o "apparato diger..."
"Debba", si affrettò Emma a correggere
"Appunto". 
Fabio fece una pausa studiata.
"Vedi, è questo il tuo problema, non riesci a fare a meno di dimostrare agli altri di essere migliore, perchè sai il congiuntivo, usi parole difficili ecc. Ho letto questo, sono stata qui, ma non come fanno gli altri, sia chiaro, in modo singolare e molto personale"
Emma non capiva, e allora taceva.
"La tua merda è uguale alla mia. Anche se vai a farla in Cina,"
Emma tratteneva il fiato.


Il mattino seguente Emma partì proprio per la Cina. Appena arrivò mandò a Fabio una foto della sua merda.
Le sembrava un po' più gialla.

mercoledì 9 luglio 2014

Sinonimi

Due esseri simili. Due persone che vivono la stessa miseria, ma hanno scelto di farlo in modo diametralmente opposto.

Erica vive la sua miseria in un ostentato entusiasmo. Stefano vive la sua miseria in un estremo pessimismo. La prima si affeziona a tutto, il secondo a niente. Lei si perde in ogni minima illusione di felicità, lui non riconosce nemmeno i più grandi successi.

Erica è affezionata a Stefano. Stefano no. Erica pensa che siano amici, che stiano bene insieme, che potrebbero diventare amanti da un momento all'altro.
Stefano non pensa mai a lei, e se capita un pensiero su di lei, lo allontana.

Erica si mette un bel completino intimo tutte le volte che si vedono, sperando che lui la spogli. Stefano vorrebbe scopare, ma non vede Erica. Stefano vorrebbe una fica, non ha abbastanza fantasia per masturbarsi.

Erica torna a casa, si guarda allo specchio e pensa di essere bella. Stefano torna a casa, non esce da casa, è sempre in casa, pensa che non valga la pena uscire.

Erica sorride e riempie il silenzio di Stefano con inutili parole. Stefano odia le parole inutili; la zittisce senza sorridere.

Erica pensa che Stefano sia bello. 

Stefano pensa di essere brutto.

domenica 6 luglio 2014

Cinema

Dovrebbero filmarmi in questo momento. Sarebbe una bella inquadratura.

Davanti a me un film in cui Natalie Portman si sta per innamorare del fortunato attore che condivide con lei la scena. Di fianco a me, una coppia australiana che fa tappa nell’ostello in cui “abito”. Entrambi belli, giovani ed innamorati. Parlano di cose inutili, non importanti. Stanno vicini, i loro corpi a contatto. Vorrebbero fare l’amore. Ma ci sono io. Vorrei smettere di guadare il film e guardarli mentre si amano. Voglio guardarli mentre si guardano negli occhi. E’ un po’ questo il cinema, no? Entrare nell’amore di due estranei, ma non aver paura di guardare, non sentirsi “il terzo incomodo”. Vorrei guardarli per sentire il loro amore, senza esserne gelosa o invidiosa. Solo perché è bello vedere due giovani ragazzi che si amano e viaggiano assieme.



Fate l’amore amici. Fate l’amore fratelli. Amo il vostro amore.